Novembre 2017, Vangelo di Marco

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Articoli pubblicati a fine ottobre 2016

Dodici anni di Schede Bibliche diocesane per vivere l'Avvento e la Quaresima

Dialogo con Dio.....

Tuto in un click

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Sintesi Conferenza di Enzo Bianchi 27/11/2015

Lo scandalo della misericordia.

Il tema della misericordia sembra un tema facile, in realtà è uno dei temi che arrivano addirittura a scandalizzare. Se infatti Gesù è stato arrestato e condannato a morire in croce non è stato per aver violato la legge ebraica, né per aver compiuto delitti punibili dall'autorità romana, ma perchè il suo atteggiamento misericordioso aveva scandalizzato gli uomini religiosi del giudaismo e scandalizza anche oggi noi cristiani.

Così fin dall'inizio del suo discorso Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, invitato dall'Azione Cattolica e dall'Apostolato Biblico per introdurre “Le parabole della misericordia nel Vangelo di Luca” ,venerdì 27 novembre in Cattedrale, ha stimolato noi, che numerosissimi lo ascoltavamo, a chiederci se abbiamo capito la misericordia di Dio, se la consideriamo esagerata, in che rapporto la mettiamo con la giustizia, se crediamo che la giustizia di Dio si manifesta sempre come misericordia.

Dopo aver tratteggiato l'atteggiamento di Gesù, venuto per rivelarci il volto di Dio, verso i peccatori, in particolare i pubblici peccatori e le prostitute, Enzo Bianchi ha letto e commentato le tre parabole del cap. 15 del Vangelo di Luca: la pecora smarrita, la moneta perduta, il padre misericordioso, soffermandosi in particolare su quest'ultima. Siamo stati così invitati a lasciarci mettere in discussione da questa parabola, a riconoscerci in entrambi i fratelli, che, pur con comportamenti diversi, non hanno conosciuto veramente il padre, a capire il cuore del padre che perdona il figlio prima che si penta, a essere, come il padre misericordioso, pronti a fare festa per i peccatori che tornano, riconoscendo che tutti siamo peccatori e che quelli che non hanno misericordia, non troveranno misericordia.

Rispondendo alla domanda se il perdono e la misericordia sono validi solo in campo spirituale o possono essere applicati anche alle strutture dello stato, Enzo Bianchi ha auspicato che i cristiani approfondiscano questo tema, perchè non ci può essere giustizia senza perdono, il perdono è immanente alla giustizia e si dovrebbero trovare forme istituzionali, giuridiche, politiche per esercitarlo. Tutto questo però richiede cristiani preparati in campo sociale e politico, impegnati nella ricerca del bene comune, convinti che carcerati, immigrati, poveri hanno tutti la nostra stessa dignità, anche se hanno avuto meno opportunità di noi.

L'anno della misericordia è una grande occasione che ci viene offerta per riscoprire la dignità di ogni uomo e il volto misericordioso del Padre, per perdonare chi ci ha offeso, per riscoprire le opere di misericordia. Il priore di Bose ha terminato il suo discorso profondo, appassionato, invitando tutti a prendere sul serio l'opportunità che questo anno dona, perchè la misericordia è una cosa seria, la confessione è il momento privilegiato per riconoscersi peccatori e per riparare il male fatto, donando ciò che abbiamo, perchè “la condivisione dei beni espia i peccati”.

Gabriella Reggi

Pubblicato su "Il Piccolo" del 04/12/2015

Si può ascoltare la relazione di Enzo Bianchi sul sito dell'Apostolato Biblico qui

Presentazione fine 2015, schede ed altro

Articoli pubblicati a fine ottobre 2015

Luca, il Vamgelo della Misericordia 

Famiglia, la più bella cosa fatta da Dio

In ascolto della Parola

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Presentazione fine 2014, schede ed altro

articoli pubblicati nel novembre 2014

Trasmettere quanto abbiamo ricevuto      PDF
Presentazione delle Schede Bibliche – Avvento 2014
- S.E. Mons. Vescovo Claudio Stagni 

Ma voi, chi dite che io sia?             PDF
La persona e il messaggio di Gesù nel Vangelo di Marco
- don Luca Ravaglia     

Anziani e Vangelo                PDF
- Gabrilla Reggi 

Le schede per l'avvento - una tradizione che cresce

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pubblicato il 16 novembre 2012

Una pagina del nostro settimanale diocesano
per la presentazione delle schede per
l'Avvento 2012.

L'inserto per la famiglia arricchite dal tema 
"La Parola e i Bambini"

La nuova scheda "In Società"

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Comunicare la Fede

pubblicato il 13 aprile 2012

Se uno ha merce scadente ma sa venderla, ce la fa; purtroppo non è sufficiente avere buona merce per avere clienti. Così è di tutte le cose che riguardano l’interazione tra le persone; poco importa se ami una ragazza, ma non sai come “dirglielo”. La Chiesa è consapevole di avere la merce migliore di tutte, per esempio quella Parola che ogni domenica alcuni milioni di Italiani ascoltano alla Messa. Un’audience davvero invidiabile e ineguagliata, soprattutto perché ottenuta ogni settimana, tutto l’anno. Come spiegarsi allora il fatto che la Parola di Dio non diventa – nei fatti - cultura, cioè ispiratrice di mentalità e di comportamenti di massa definibili cristiani e non solo umanamente onesti? Viene il sospetto che ci sia di mezzo un problema di comunicazione, di farsi capire. Non basta enunciare dogmi o verità di fede, bisogna anche farne sentire la bellezza e il valore, la loro utilità per costruire una vita buona, anzi migliore. Ci vorrebbe emozione, insieme all’intelligenza. Ciò riguarda l’ambito dell’omelia (di cui parlavamo), ma anche della catechesi (cui dedicheremo qualcuna delle prossime puntate, alla luce della Verbum Domini del Papa), così come quello della formazione cristiana dei giovani nella famiglia, nella scuola… la trasmissione dei messaggi religiosi attraverso i massmedia…
Siamo convinti che, vista l’audience, la Liturgia domenicale sia un’occasione preziosa per comunicare la fede, facendo circolare la mentalità cristiana prima di tutto nell’assemblea, nella speranza che essa possa, alla lunga, circolare nella società. Quando così sarà, avremo scoperto un vaccino anticrisi davvero efficace, “strade e pensieri per domani”, come cantano gli Scout, percorsi nuovi per persone nuove.
Ci permettiamo di sponsorizzare l’iniziativa curata dall’Apostolato Biblico diocesano insieme all’Ufficio Liturgico e al Centro diocesano per i ministeri e la formazione permanente, che avrà da noi in Diocesi il prof. Paolo Iotti i prossimi mercoledì 18 e giovedì 19 aprile per farci fare esperienza di comunicazione liturgica. L’iniziativa è aperta anzitutto alle persone che fanno il servizio del Lettore nelle nostre Parrocchie, ma anche a chiunque sia interessato a maturare la propria capacità di comunicare la fede.

don Pier Paolo Nava

Fateci un'omelia, per carità

pubblicato il 30 marzo 2012

Nella vita liturgica delle nostre comunità l’omelia (“predica”) è un punto delicato, sia per noi preti che vi fatichiamo, sia per le assemblee, che le hanno dedicato alcuni famosi (e anche ironici) proverbi.
La Verbum Domini di Papa Benedetto vi dedica una riflessione speciale, e lo fa nel migliore dei modi, cioè collocando l’omelia nel suo contesto, e chiarendo perché essa sia così importante. Aggiungerei, tanto più importante, quanto più parte della celebrazione, non l’elemento ritenuto più importante. Quante volte nella vostra mente è comparsa l’uguaglianza bella Messa = bella predica?
Partiamo dall’inizio, cioè dalla base, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Il cristianesimo non nasce dall’uomo ma è rivelazione (sorpresa) di Dio; questa rivelazione parla all’uomo, chiedendogli una risposta di fede, mediante il sacramento – segno concreto delle Scritture: «La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il “segno” di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi» (VD 56). Nell’azione liturgica, questo segno tangibile si mostra come Lezionario: nel Libro delle Letture la Parola prende una forma polifonica, unendo le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento e facendole convergere sul Vangelo e sulla persona di Gesù Cristo (VD 57). Da questa base emerge, tra l’altro, anche l’importanza del ministero del lettore, che non consiste nel semplice “saper leggere bene”: «La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica» (VD 58). Dopo aver dichiarato – cosa ovvia ma non del tutto scontata – che l’omelia è spiegazione delle letture della Messa (VD 52), il Papa aggiunge che quello del predicare è un ministero; quindi un incarico (non una proprietà personale) affidato al Vescovo, Presbitero o Diacono, che merita di essere svolto al meglio, dal momento che viene affidato da Dio per l’edificazione della Chiesa. Da ciò, pare che l’omelia non è lo sfogo del prete (per di più senza contraddittorio!) su questo o quell’argomento: «Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia» (VD 58). L’omelia non sarebbe nemmeno una “lezione” scolastica, che si ferma a chiarire i contenuti delle letture, perché «l’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita». La Bibbia scritta è sempre quella, ma grazie al ministero dell’omelia diventa Parola qui, oggi, per noi, come se fosse l’unica volta.
Semplice, vero? L’omelia, per il prete, è assai più che un “mestiere”. E’ espressione naturale della sua personale spiritualità pastorale, nutrita anche di formazione teologica e – se possibile – di abilità comunicativa. Mentre il popolo di Dio spesso cerca chi lo affascini, al predicatore può bastare di esprimere la propria comunione d’amore con il Cristo per la Chiesa. Un amore che “urge”: «Occorre che i predicatori abbiano confidenza e contatto assiduo con il testo sacro; si preparino per l’omelia nella meditazione e nella preghiera, affinché predichino con convinzione e passione. L’Assemblea sinodale ha esortato che si tengano presenti le seguenti domande: “Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della sua situazione concreta?”». Una parola intelligente che viene dal cuore è sempre coinvolgente. Altro che le proverbiali “due sensate (e brevi) parole”.

don Pier Paolo Nava

Celentano e le "prediche"

pubblicato il 16 marzo 2012

Mentre le luci e i clamori (e anche le canzoni?) di San Remo si sono ormai spente nella consueta memoria corta del grande pubblico, mi sono ricordato che c’è un punto di contatto tra Celentano e la nostra Verbum Domini, a proposito dell’omelia (la cosiddetta “predica”). I preti ormai lo fanno da un po’ di secoli; l’attività predicativa (“predicatoria” sarebbe ingiustamente spregiativo) del Molleggiato risale ormai a qualche decennio, vigorosa nonostante l’età. La cosa notevole è che anche in quei lontani (e vicinissimi) Anni Ruggenti, in cui non essere omologati era l’omologazione obbligatoria per essere considerati “al passo con i tempi”, lui è stato sempre “alternativo”, provocatorio e - stranamente ma non incomprensibilmente - molto popolare. Uno che spinge le opinioni, non le cavalca, merita comunque considerazione.
Trascrivo fedelmente quello che ci interessa dal discorso della finale del sabato sera: «Se c’è una cosa che non sopporto e che mi innervosisce, non soltanto nei preti ma anche nei frati, è che i loro argomenti, quando fanno la predica o anche nei dibattiti in televisione, non parlano mai della cosa più importante, e cioè del motivo per cui siamo nati, quel motivo nel quale è insito il cammino verso il traguardo, quel traguardo che segna non la fine di un’esistenza ma l’inizio di una nuova vita. Insomma, i preti e i frati non parlano mai del paradiso. Perché? Quasi come a dare l’impressione che l’uomo sia nato soltanto per morire. Ma le cose non stanno così […] Noi non siamo nati per morire, siamo nati per vivere. Voi preti siete obbligati a parlare del paradiso! Altrimenti la gente pensa che la vita sia quella che stiamo vivendo adesso! Ma che (beep) di vita è questa qua? Lo spread, l’economia, le guerre…».
Al di là della forma da “predicatore televisivo americano”, teatrale e un po’ arrabbiata, la sostanza della provocazione rimane. Agli occhi del credente praticante medio, che crede nel proverbio della predica come il caffè (corto, caldo, forte, soprattutto non amaro, e a buon mercato) l’omelia si apre a spazi impensati, là dove la Parola eterna di Dio, mediata e spiegata dal ministro, tocca i fondamenti della vita e le domande vere, che riguardano l’uomo e il tempo che ha da vivere. Predicare il Paradiso “costringe” noi preti a mettere al suo posto, cioè al centro, la risurrezione di Cristo. Quella cosa che, se non c’è, la fede è inutile e commiserabile (1Cor 15,12-20). Se se ne parla, diventa il regalo che solo il cristianesimo ha da dare (anzi, annunciare) nella grande piazza delle opinioni; la vera novità, perché ormai lo sanno tutti da un bel pezzo che “bisogna comportarsi bene, rispettarsi ecc. ecc.”. Da prete e pastore, raccolgo l’invito a parlare della Meta per vedere meglio qual è la Strada; rinuncio a far credere alla mia gente che si può essere cristiani senza Gesù Cristo, o che si può comprare il paradiso con qualche Ave Maria, perché davvero «Tutto è grazia», diceva il Curato di Bernanos: la nascita e la ri-nascita, il mondo creato e la Gerusalemme Di Là.
Fortunatamente, Celentano subito dopo riveriva don Gallo e il suo impegno per gli ultimi, quaasi contraddicendosi. Questa precisazione completa il discorso e lo rende pienamente cristiano: l’altro suo pilastro non negoziabile è infatti l’incarnazione. Poiché il Verbo si è fatto Carne, la Parola sprizza luce anche sullo spread, sulla politica, sui mezzi di comunicazione, su tutto ciò che è realtà. Lasciamo che altre proposte religiose o laiche predichino il nirvana, o una salvezza che sia estraniarsi da questo mondo brutto (“bevo per dimenticare”). L’Aldilà ha visitato l’Aldiqua per dare una direzione alla strada dell’uomo, ma concretamente la strada è fatta di singoli passi, fatica, ricerca e coraggiosa sperimentazione. Non abbiamo nostalgia di quelle punte di cristianesimo consolatorio («O tu che soffri, porta pazienza che c’è il Paradiso»), ma di quel Gesù che riconciliava i peccatori, si occupava di malati, donne e bambini, e parlava di una giustizia umana e più che umana.

don Pier Paolo Nava

Per diventare casa della Parola

Il tempo della Nuova Alleanza pubblicato il 23 febbraio 2012

«Cristiani non si nasce, si diventa»: lo diceva un celebre cristiano, Tertulliano, 1800 anni fa, ma lo potrebbe dire ancora oggi, insieme a ogni educatore della fede dei ragazzi. Introdotti ormai nella Quaresima, la Liturgia ci riporta all’origine, al diventare credenti. La Quaresima nasce come tempo finale della preparazione dei catecumeni al Battesimo, nella Veglia pasquale; da allora, tutti gli anni questo tempo (chiamato Forte) ancora rimette al centro il Battesimo come sacramento della Fonte. In un contesto in cui la fede cristiana e la sua trasmissione non è per nulla scontata (nei battezzati!), il Battesimo e gli altri sacramenti dell’Iniziazione (Confermazione ed Eucaristia) tornano grazie a Dio ad essere il perno intorno al quale la vita e la missione della Chiesa guadagna o perde in qualità e fecondità.
Il Papa, nella sua Verbum Domini, chiama la Chiesa «Casa della Parola» (VD 52). Nel senso che la Bibbia scritta diventa Parola – viva e vivificante - nel momento in cui viene liturgicamente proclamata  nell’ambito di una comunità riunita “in casa”. Ma anche perché la Chiesa «si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa» (VD 3), cioè nella Chiesa la Parola si trova a casa sua; per questo senza Parola di Dio non è pensabile né la fede né la vita cristiana. Allora, se ci si accorge di aver preso un po’ troppo le distanze dalla Fonte, e la vita cristiana impercettibilmente è diventata rugosa, macchinale e “saputa”, la conversione quaresimale e battesimale è probabilmente tornare a iniziarsi alla fede. La parola “iniziazione” ha il sapore dell’apprendistato, quando in un mestiere si impara a conoscere e usare gli attrezzi, che serviranno poi nei vari lavori da realizzare, nell’officina del quotidiano. Tornare a iniziarsi alla fede significa magari aprire di nuovo la cassetta degli strumenti (le famose tre opere del Vangelo delle Ceneri: dialogo con Dio in comunità – misericordia – essenzialità della vita) e ripassare l’arte di utilizzarli. Oppure anche tornare al come si arriva alla fede: «La fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17) e all’inverso il non ascolto produce incredulità. Fede e incredulità, alleanza battesimale e paganesimo: tutto dipende dall’ascolto o dalla sordità. «Fate attenzione a COME ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere» (Lc 8,18).
E infine, poiché iniziazione alla fede è dono della fede dalla generazione degli adulti a quella dei giovani, o da chi crede a chi non crede, tornare al Battesimo è per forza tornare alla missione: «Come crederanno in Colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?» (Rm 10,14). Bella domanda…
Le Schede di Quaresima, disponibili presso la Curia diocesana, la libreria Cultura Nuova, il sito della Diocesi e dell’Apostolato Biblico, le parrocchie e le associazioni… ripercorrono la catechesi sull’Alleanza che la Liturgia propone con le Prime letture di questa Quaresima, anno “B”. L’alleanza, offerta liberamente da Dio, è eterna nella Sua fedeltà, unisce tutte le creature nel corale dialogo tra cielo e terra (1° Domenica). La parte dell’uomo in questa alleanza è accogliere la Parola con fede obbediente, lasciandosi sconvolgere la vita fino a morire per rinascere in un modo più pieno (2° Domenica). Nelle Dieci Parole, il Dio che ha liberato il suo popolo gli fa conoscere le vie concrete della fedeltà all’alleanza (3° Domenica). Anche quando l’uomo pecca, rompendo l’alleanza a proprio danno, Dio torna sempre a fare la sua proposta d’amore e di relazione, utilizzando anche strumenti impensabili (4° Domenica). Infine, viene promessa la Nuova Alleanza (quella in cui oggi ci troviamo): non sarà più una dichiarazione di intenti, ma la realtà di una comunione matrimoniale / simbiosi di vita: lo Spirito e la Parola abitano dentro l’uomo che (e se) decide, con fede, di vivere dentro il Padre, nel suo perdono, nella logica evangelica del suo Regno.

don Pier Paolo Nava

Per una lettura biblica nello Spirito

pubblicato il 9 febbraio 2012

Cosa significa interpretare correttamente la Bibbia? L’interrogativo è indubbiamente di grande importanza. La parola eresia, di origine greca, in italiano si può tradurre con scelta/cernita: le eresie nascono quando la regola è il parere del singolo, che sceglie un aspetto del Credo e ne fa il tutto, negando il resto (per esempio, che si è salvi per grazia di Dio, che Gesù è sia Dio che uomo, che è risuscitato nel suo vero corpo, che risorgeremo con lui…). Il rischio di applicare questo schema alla lettura della Bibbia è fin troppo facile: quante volte ci siamo detti “Questo Vangelo mi piace, quello no… Che brutto l’Antico Testamento!”? Il risultato dell’eresia è lo sbando, ognuno per sé e Dio per nessuno… Il Santo Padre ha visto il problema e lo affronta in dettaglio nei numeri 29-49 della Verbum Domini e altrove.
Quali sono i requisiti per una lettura biblica corretta, cioè veramente spirituale, fatta nello Spirito? Sono sinteticamente due, entrambi profumano di comunità e di polifonia (lì c’è lo Spirito!), in entrambi si gioca anche - guarda caso - l’appartenenza del singolo al corpo battesimale della Chiesa. Come suggerisce VD 34, il primo criterio è il rispetto del testo. Rispettare la Bibbia scritta significa intendere ogni frammento come voce di tutto un coro. Ogni brano rivela il proprio senso (in sé e per me/noi) dentro il suo contesto: quanto precede e quanto segue, il libro cui appartiene, l’insieme dei brani simili, il dialogo tra i due Testamenti… Esistono buoni libri utili in questo senso: non è obbligatorio essere biblisti (troppo bello per essere vero!), ma è moralmente doveroso lasciarsi aiutare, il rischio del “fischi per fiaschi” non è teorico (VD 30). Il secondo criterio su cui il Papa insiste spesso nella VD è il rispetto per la tradizione della Chiesa: «Il libro è la voce del popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire le Scritture» (VD 30; vedi anche n. 29). La tradizione è rappresentata dal magistero dei Vescovi insieme al Papa, che hanno il delicato compito di sorvegliare, garantire la fedeltà della comunità di oggi alla fede della comunità apostolica delle origini, distinguendo se necessario tra letture corrette e arbitrarie della Scrittura. Fanno parte della tradizione ecclesiale anche i contributi di chi dedica la vita allo studio e alla divulgazione popolare della Bibbia, e l’eredità spirituale di quei cristiani (i santi e i maestri spirituali riconosciuti) che hanno – ciascuno secondo il proprio carisma - incarnato la Parola nella loro vita: «Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio» (VD 48), per l’edificazione degli altri fratelli.
Un altro luogo essenziale della tradizione della Chiesa è la lettura liturgica della Bibbia. Il “mix” delle tre letture domenicali e festive sono lo strumento con cui i nostri predecessori ci aiutano a cogliere la novità del Vangelo alla luce dei testi dell’Antico Testamento e del Nuovo, affinché anche in questo nostro oggi la Scrittura diventi Parola, carne e sangue, intelligenza della fede e vita vissuta nella carità. Cammino di Chiesa e non da sbandati. A questo proposito informiamo che l’Apostolato Biblico diocesano ha messo a punto anche quest’anno le Schede bibliche di Quaresima, elaborate attorno alle Prime letture delle Domeniche. Come sempre, le Schede sono affidate ai centri d’ascolto e all’uso personale; contengono un libretto di approfondimento sui testi (per l’animatore del gruppo ma non solo), cinque pieghevoli per ogni Domenica, e un sussidio per la lettura da famiglie per le famiglie. Le troverete presso la Curia, la libreria Cultura Nuova, in molte parrocchie e associazioni; sono scaricabili dalle pagine dell’Ufficio catechistico – settore per l’Apostolato Biblico sul sito internet diocesano.
Buona lettura!

don Pier Paolo Nava

Come non leggere la Bibbia

pubblicato il 27 gennaio 2012

Per molti, la Bibbia è affare di pochi specialisti; e di fatto questa impressione viene, ascoltando alcuni esperti in materia, ricavandone una sensazione di inadeguatezza… La Chiesa ha sempre creduto che la Bibbia sa mettersi al livello di tutti: l’unico requisito è che il lettore (o la comunità che legge) si metta al livello della Bibbia. La Dei Verbum del Concilio chiamava questo requisito “religioso ascolto”: una apertura totale (religione significa in fatti rilegare - mettere insieme), che richiede sia lo studio, affinché il testo parli a tutti i livelli cui l’intelligenza umana può accedere, sia l’attualizzazione nella vita, affinché quanto viene capito diventi fecondo, motore di mentalità e di azioni. Nella Verbum Domini il Papa parla di questo religioso ascolto con una affermazione assai fondamentale: «Si può comprendere la Scrittura solo se la si vive» (VD 47): la Bibbia nutre chi vi si accosta con fede, cioè chi sinceramente cerca (e studia) in essa una storia antica, accettando la sfida che questa storia diventi Parola, incontro da rivivere oggi in modo nuovo e originale.
Il Papa mette in guardia tutti (non solo i biblisti e i teologi) da alcuni tipi di lettura del testo che impediscono alle Scritture di accadere qui e ora. Il primo pericolo è che «si possono trarre [dal testo] conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l’esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura» (VD 35). E’ il rischio dello studioso che fa solo erudizione; ma anche di chi cerca nella Bibbia una morale universale, come nella favola di Pinocchio, dimenticando l’elemento determinante: la Scrittura ci viene dal passato, ma non è “risaputa”, è sempre nuova perché nuovi e diversi sono i tempi e i luoghi in cui persone diverse leggono per capire e per vivere.
Un secondo pericolo, conseguente al primo, è che questo approccio da museo apre le porte a quella che il Papa chiama lettura secolarizzata della Bibbia (VD 35): il centro d’attenzione è soltanto l’uomo e i suoi interessi immediati, il materialismo imperante che dichiara impossibile che il divino abbia a che fare con l’umano. I miracoli di Gesù, la sua stessa Risurrezione non sarebbero cose reali, eventi in cui la potenza di Dio entra nella storia per attirare l’uomo in Sé; al massimo sarebbero immagini, paragoni del desiderio dell’uomo di non morire, o di vivere un altruismo solidale. Insomma, una fede senza basi storiche.
Il terzo rischio, come reazione alla deriva di una lettura senza fede, è che si faccia largo una lettura spiritualista del testo (VD 35), come l’emozione dell’individuo in quel momento suggerisce. Il Papa ne parla anche in termini di lettura fondamentalista (VD 44): si tratta di «letture che non rispettano il testo sacro nella sua autentica natura, promovendo interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie. Infatti, il “letteralismo” propugnato dalla lettura fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento sia del senso letterale [il testo in sé, che non viene capito] che spirituale [il testo per me/noi, ma senza la viva tradizione della Chiesa], aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura... L’aspetto problematico della lettura fondamentalista è che… tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca», e quindi va capita e interpretata in modo corretto.
Insomma, uno studio senza fede confina la Bibbia nel novero dei grandi libri dell’umanità; una fede senza studio cade facilmente nel soggettivismo, e sotto un apparente culto del testo nasconde l’incredulità, un ascolto non religioso, che non mette insieme la storia con l’oggi, l’io con il noi della Chiesa e della sua tradizione viva.
Ci rimane ora di vedere come allora leggere la Bibbia. Alla prossima puntata!

don Pier Paolo Nava

La Rivelazione: un canto a due voci

Riflessione biblica sull''Epifania - 20 gennaio 2012

Nelle feste natalizie, ormai trascorse, abbiamo rivissuto l’ingresso del Verbo di Dio nel mondo nella persona di Gesù di Nazaret, dal segreto della grotta di Betlemme fino all’incontro internazionale e multietnico con i Magi. Il Vangelo dell’Epifania (Mt 2,1-12) ha raccontato l’intervento di Dio, che illumina e chiama, con i segni della Parola e della Stella: la Parola che gli scribi di Erode interpretano correttamente circa il luogo della nascita del Messia, la Stella che conduce i Magi fino a Betlemme, città di Davide. Il fatto curioso è che i depositari delle Scritture finiscono per rispondere alla nascita di Gesù con l’indifferenza (scribi) o con l’aperta ostilità (Erode) mentre i pagani (Magi), con il solo aiuto di una debole luce in cielo, arrivano alla meta della loro ricerca. Nella Verbum Domini, il Papa ci ricorda che il cristianesimo non è una “religione del libro”, ma della Parola di Dio (VD 7), perché il “libro” può essere strumentalizzato per gli scopi più diversi, mentre la “parola” implica una relazione in cui due persone si offrono e si ricevono reciprocamente. Nel caso della Parola di Dio, l’offerta si chiama Rivelazione, la ricezione invece è la fede. Senza fede non avviene l’incontro, il segreto della persona di Gesù (reso palese dai doni di oro, incenso e mirra) rimane oscuro.
La Bibbia e la Stella, la Parola in parole umane e il mondo come opera di Dio, sono vie diverse di un’unica Rivelazione. La Stella si ferma su Gesù perché «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3). Per il Papa, «questo annuncio è per noi una parola liberante. Infatti, le affermazioni scritturistiche indicano che tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno, al cui centro sta l’offerta di partecipare alla vita divina in Cristo. Il creato nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida… L’intera realtà esprime questo mistero: I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento (Sal 19,2). Per questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a conoscere il Creatore osservando il creato (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20)» (VD 8). Il cristianesimo, religione della Parola, riconosce alle cose del mondo la loro massima dignità: dalle galassie all’atomo, oggetti dell’indagine scientifica dell’uomo, il credente riconosce la Voce di una Stella che traccia il cammino nelle coscienze. «La creazione è luogo in cui si sviluppa tutta la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura… In ciò troviamo anche quanto la tradizione filosofica chiama “legge naturale”. In effetti, ogni essere umano che accede alla coscienza e alla responsabilità fa l’esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene e, dunque, a evitare il male. Come ricorda san Tommaso d’Aquino, su questo principio si fondano anche tutti gli altri precetti della legge naturale. L’ascolto della Parola di Dio ci porta innanzitutto a stimare l’esigenza di vivere secondo questa legge scritta nel cuore (cfr Rm 2,15; 7,23). Gesù Cristo, poi, dà agli uomini la Legge nuova, la Legge del Vangelo, la quale assume e realizza in modo eminente la legge naturale» (VD 9).
La Stella quindi non è “buona” in se stessa (diventerebbe un idolo), ma perché conduce i Magi a Gesù: la Voce indirizza alla Parola! Solo in questo approdo il cercatore trova una gioia immensa, e la roccia su cui costruire una vita piena: «realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto. Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero. L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno» (VD 10).

don Pier Paolo Nava

Natale: piena luce su Dio e sull'uomo

Il Verbo si è fatto carne per fare di Cristo il cuore del mondo - 23 dicembre 2011

A Natale risuona il distillato dell’annuncio cristiano: “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). Questo versetto è anche il motore della dettagliata riflessione del Papa in tutta la prima parte della Verbum Domini (nn 6-49). “Questa è la buona notizia. Questo è l’annuncio che attraversa i secoli, arrivando fino a noi oggi” (VD 1).
Il Papa musicista racconta la grandezza della Parola Incarnata in modo ineguagliabile: “Possiamo contemplare la profonda unità… di tutta la storia della salvezza in Cristo. Esprimendoci con un’immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un libro – così diceva anche Galileo Galilei –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la sinfonia del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un assolo, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo assolo è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera” (VD 13).
Da un altro punto di vista, il Verbo incarnato “porta a compimento l’educazione divina dell’uomo, già in precedenza animata dalle parole dei profeti e dalle meraviglie operate nella creazione e nella storia del suo popolo e di tutti gli uomini” (VD 20). In altri termini, la relazione di Gesù con il Padre, fatta di fiducia e abbandono obbediente, è il modello dell’autentica vita di fede. Il segreto di Gesù, Dio – Uomo, è di essere il ponte tra Cielo e terra (VD 8): nei suoi gesti e nelle sue parole Dio rivela con chiarezza la sua volontà (VD 11) e l’uomo, da parte sua, assumendo i sentimenti e gli atteggiamenti umani di Gesù, viene progressivamente divinizzato, giunge alla piena maturità di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio: come dice il canto ben noto, Dio si è fatto come noi per farci come Lui.
L’Incarnazione svela il volto di Dio e la grandezza della dignità umana (VD 101) e del destino di ogni uomo, ma anche spiega che cosa è il Cristianesimo. A differenza di un luogo comune, esso non è religione del Libro (come l’Islam) ma “religione della Parola di Dio, non di una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente” (VD 7). Il fondamentalismo è la trappola in cui cade chi intende il Libro come un contenitore di affermazioni astratte da credere parola per parola (VD 44), la Parola incarnata nella Bibbia invece può essere ricevuta solo decifrando con pazienza e competenza (è questo lo scopo degli studi biblici) i linguaggi umani che, nelle varie epoche, la Parola ha assunto per comunicare. Il Cristianesimo non è un insieme di miti e leggende, è per natura sua radicato nella storia degli uomini (VD 32) e non teme il confronto con la ricerca storica: Gesù nasce a Betlemme di Giudea, al tempo dell’imperatore Cesare Augusto (Lc 2,1).
Sul versante pastorale, missionario e del dialogo interreligioso, l’Incarnazione impone ai cristiani di tradurre la Parola nei linguaggi comprensibili alle varie culture umane del pianeta (VD 109; 114), e viceversa di verificare se i linguaggi e gli usi religiosi adottati qua e là dal Cristianesimo (forse anche le Confessioni natalizie!) sono adeguati alla Parola di Dio oppure vadano purificati. Infine, poiché la Chiesa nasce dall’Incarnazione e con i suoi sacramenti ne estende gli effetti fino ai confini della terra, la concretezza è la regola affinché la testimonianza cristiana diventi credibile e “non appaia come una bella filosofia o utopia, ma piuttosto come una realtà che si può vivere e che fa vivere… La Parola di Dio raggiunge gli uomini attraverso l’incontro con testimoni che la rendono presente e viva” (VD 97). Cosa che ci auguriamo proprio, mentre diciamo a tutti il nostro sincero buon Natale.

don Pier Paolo Nava

Una donna e il suo mistero

Riflessione biblica sull'Immacolata - 9 dicembre 2011

La Chiesa riceve la fede dalla Parola predicata dagli Apostoli, e la esprime con formule sintetiche: sono i dogmi, nei quali la comunità si riconosce e trova fondata la propria unità. Molti dogmi sono presenti nel Credo; altri riguardano la persona di Maria (Assunzione di Maria, Immacolata concezione). Nella Chiesa Cattolica, può proclamare un dogma il Concilio dei Vescovi in comunione con il Papa, oppure anche il Papa in comunione con la tradizione comune della Chiesa. E’ il caso del dogma della Immacolata concezione, proclamato da Pio IX l’8 dicembre 1854: al libertà di Maria è sgombra da ogni assenso al male, e questo in vista della sua maternità divina. In altri termini, Maria è la prima salvata dal potere del peccato, rappresenta l’umanità piena, conforme al piano di Dio, meta della vita cristiana. Come si vede, il mistero di Maria è dogma perché fa luce sul progetto di Dio, che si realizza nell’Incarnazione e nel mistero della Chiesa, inizio del Regno di Dio che si compirà all’Avvento finale di Cristo.
Nella Verbum Domini Papa Benedetto XVI invita più volte a meditare il mistero di Maria in riferimento a Cristo, alla Chiesa e alla Bibbia. In modo sintetico egli esclama, direi con stupore: “Come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera del medesimo Spirito” (VD 19).
Il progetto di salvare l’uomo chiamandolo all’alleanza con sé, ha quindi origine nella Trinità, attuazione nell’agire dello Spirito Santo nelle Scritture e in Gesù, ed estensione nella realtà e nella missione della Chiesa, che ascolta la Parola, la trasmette e accoglie fraternamente in sé chi accetta l’alleanza: “Lo stesso Spirito che agisce nell’incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria, è il medesimo che guida Gesù lungo tutta la sua missione e che viene promesso ai discepoli. Lo stesso Spirito, che ha parlato per mezzo dei profeti, sostiene e ispira la Chiesa nel compito di annunciare la Parola di Dio e nella predicazione degli Apostoli; è questo Spirito, infine, che ispira gli autori delle sacre Scritture”. (VD 15).
Ecco quindi perché Maria è al cuore della fede cristiana e dei suoi dogmi: “In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne. Maria è anche simbolo dell’apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza, assimila, in cui la Parola diviene forma della vita” (VD 27).
Lo stile di Maria diventa modello del cristiano, del vivere nella salvezza: “Ella dall’Annunciazione alla Pentecoste si presenta a noi come donna totalmente disponibile alla volontà di Dio. È l’Immacolata Concezione, colei che è «colmata di grazia» da Dio (cfr Lc 1,28), docile in modo incondizionato alla Parola divina (cfr Lc 1,38). La sua fede obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all’iniziativa di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola; serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico mosaico (cfr Lc 2,19.51)” (VD 27).
Questo ha un impatto sullo stile di vita della Chiesa: “I misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio. Le nostre liturgie devono facilitare questo ascolto autentico” (VD 66).
Lo stile di Maria è la via cristiana alla gioia: “«Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Maria è beata perché ha fede, perché ha creduto, e in questa fede ha accolto nel proprio grembo il Verbo di Dio per donarlo al mondo. La gioia ricevuta dalla Parola, si può ora dilatare a tutti coloro che nella fede si lasciano cambiare dalla Parola di Dio” (VD 124).

don Pier Paolo Nava

La Scrittura: mistero dell'Incarnazione

Pubblicato venerdì 25 novembre 2011

Il mistero dell’Incarnazione è al centro del Cristianesimo, e a maggior ragione di questo tempo liturgico di Avvento: la Chiesa fa memoria e annuncia il primo Avvento di Gesù, figlio dell’uomo, l’Avvento continuo di Gesù nel volto dei figli degli uomini (Mt 25,31-46), e l’Avvento definitivo del Cristo Re e Signore dove non più lui prenderà la carne umana, ma gli eletti saranno “presi” dallo Spirito di Dio e trasfigurati in Lui (1Cor 15,42-44).
L’aprirsi dell’Eterno al Tempo, il suo dimorare nella Storia per attirarla infine all’Eternità, è il dinamismo interno al grande Prologo di san Giovanni (1,1-18), che verrà letto nella Messa del Giorno di Natale come Parola suprema dell’Avvento. E non è un caso che il Papa inizia la Verbum Domini meditando proprio quel testo, ai numeri 6-14. La Scrittura, come Parola eterna di Dio nella forma di parole umane intrise di storia, è di per se stessa mistero di Incarnazione, il farsi prossimo di Dio all’umanità in modo che essa possa ascoltarlo, capirlo, accoglierlo, e rispondergli amandolo. Per questo la Chiesa riconosce, accanto al pilastro della Carità (Cristo nel volto del prossimo), quello della Liturgia (Cristo Parola di Dio che, nella celebrazione, viene incontro all’uomo mediante segni umani), e i due pilastri si richiamano tra loro in una spiritualità realmente cristiana.
Papa Benedetto rilegge Gv 1 tradendo il suo stupore di fronte allo spettacolo della Comunicazione di Dio, che crea l’uomo in qualità di uditore della Parola – interlocutore – amico di Dio (VD 6; DV 2). “Nel cuore della vita divina c’è la comunione, c’è il dono assoluto: Dio è amore”, da qui nasce “la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino… possiamo comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del Verbo… E’ alla luce della Rivelazione operata dal Verbo divino che si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana” (VD 6). Nella visione cristiana l’uomo non è solo economia: il suo destino di felicità si gioca nelle dimensioni delle Relazioni (carità), e della Relazione (fede, dialogo con Dio).
La Parola diventa carne nelle varie modalità con cui cerca questa relazione. Anzitutto, il mondo come creato da Dio è linguaggio comprensibile della Parola (VD 8), tanto che “ogni creatura è Parola di Dio, poiché proclama Dio” (VD 9). Il Papa nega che Dio e mondo siano estranei: “Realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto”, chiarendo poi: “L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo”, mentre “chi costruisce su questa Parola edifica la casa della propria vita sulla roccia” (VD 10). La Parola poi si fa carne nella predicazione, orale e poi scritta, di Profeti e Apostoli (VD 7). Al centro dei Testamenti c’è la persona stessa del Verbo Incarnato (VD 11): “La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità. Da qui si capisce perché all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona… Il rinnovarsi di questo incontro e di questa consapevolezza genera nel cuore dei credenti lo stupore per l’iniziativa divina che l’uomo, con le proprie capacità razionali e la propria immaginazione, non avrebbe mai potuto escogitare”. Al suo fondamento, il Cristianesimo non è una ideologia accanto alle altre, ma la chiamata a una relazione fatta di stupore. Probabilmente qui siamo al cuore dell’Avvento…
Allegati a questo numero e al prossimo de Il Piccolo trovate due opuscoli contenenti due interventi di mons. Ermenegildo Manicardi, dal titolo “Il cammino dei discepoli nel Vangelo di Marco” ( pdf ) e “Vangelo e primo annuncio: Gesù nel Vangelo secondo Marco” ( pdf ). Sono un utile foro di penetrazione nel Secondo Vangelo, protagonista delle Messe festive (ciclo B delle Letture) di questo nuovo anno liturgico.

don Pier Paolo Nava

Don Cesare Bissoli e la Verbum Domini

Intervista a don Bissoli sull'importanza della Parola di Dio e la sua interpretazione.
L'importante è appasionarsi ad essa.
  18-nov-2011

Ma Dio educa ancora il suo popolo? Anche se esso è spesso distratto, assorto nei mille problemi del vivere quotidiano o ciecamente non sente il bisogno di capire meglio la scrittura?
Non ci lascia sulle spine don Cesare Bissoli, coordinatore nazionale dell'Apostolato Biblico, che abbiamo intervistato in vista dell'incontro "Dio educa ancora il suo popolo" in programma venerdì 18 novembre alle 20.30 in Cattebrale.
"Per un credente, oggi Dio parla e ascolta, non è più una stella luminosa, lontana dalla nostra vita". E' la straordinaria rivoluzione del Concilio Vaticano II che ha aperto le Bibbie di tutto il mondo alla lettura e all'interpretazione anche dei laici. E che l'esortazione sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI ( che sarà al centro dell'incontro di venerdì di don Bissoli ) vuole ricordarlo e renderlo concreto agli uomini di oggi.
"Per noi cristiani, la Parola è un fatto vivo: altro che documento. La Bibbia contiene la prima espressione certificata dell'incontro tra Dio e il suo popolo".
Il problema, invece, è che noi spesso la leggiamo come un antico manoscritto che racconta una bella storia, ma non ci appartiene. "Non tutti siamo abituati ad avvicinarci ai testi: fino a prima del Concilio era sconsigliato persino nella Chiesa. Ma ci sono minoranze che lo fanno in maniera qulitativamente interessante. L'esperienza dell'apostolato biblico sta crescendo e anche lì a Faenza c'è una bella realtà.
Ma come si fa, però, a farla uscire dalla ristretta cerchia degli "appassionati della Parola"?
Inannzitutto occorre curare l'animazione biblica della pastorale e la liturgia: la Parola non è affatto statica. E' una freccia che viene lanciata e va a colpire la carità e la liturgia".
Come appassionare alla Parola, dunque?
"La presentazione della Parola all'interno della Messa è essenziale: perchè nella Messa ci sono le persone e soprattutto c'è Dio. Per il resto, non ci sono scuole, ma tante strade: i corsi biblici, ad esempio, e certamente le Lectio".

don Pier Paolo Nava

 

Scarica lo schema della relazione e la registrazione audio

Antico e Nuovo Testamento: l'unica Parola di Dio

Pronte le nuove Schede di Avvento 2011 11-nov-2011

Anche quest’anno l’équipe di Apostolato Biblico, con la collaborazione di altri, mette a disposizione di chi vorrà utilizzarle le Schede bibliche di Avvento, disponibili presso la Curia, la libreria Cultura Nuova, in molte parrocchie e scaricabili dal sito dell’Apostolato Biblico all’indirizzo www.abdiocesifaenza.altervista.org.-> qui
Il materiale (presentato dal Vescovo in copertina) risponde allo schema ormai consolidato: trovate un libretto per l’animatore (spiegazione dei testi biblici, introduzioni ai libri da cui sono tratti, preghiere, in ascolto dei maestri di ieri e di oggi, immagini), quattro pieghevoli per le quattro domeniche, un pieghevole per la riflessione in famiglia.
Nella consapevolezza che Dio ha dato la sua Parola alla Chiesa, i destinatari di queste schede sono anzitutto i Centri d’ascolto, come già il Papa raccomandava nella Verbum Domini al n. 73: “Si favorisca la diffusione di piccole comunità… in cui promuovere la formazione, la preghiera e la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa”. Questo naturalmente non esclude la meditazione e la preghiera personale, perché in ogni caso si troverebbe collegata al cammino liturgico della comunità.
La novità da quest’anno (ciclo delle letture B) è che proponiamo una Lectio divina sulle Prime letture della Messa, tratte dall’Antico Testamento; due sono stati i motivi che ci hanno spinto a fare questa scelta. Anzitutto la generale scarsa abitudine a questo tipo di lettura, favorita anche da una predicazione non sempre attenta all’unità delle Scritture. Nello stesso documento (nn. 40-41), il Papa espone il legame vitale tra i due Testamenti, necessario per entrare fruttuosamente nella Rivelazione: tra le altre cose, egli ricorda che “la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice. Pertanto, la sana dottrina cristiana ha sempre rifiutato ogni forma di marcionismo ricorrente che tende, in modi diversi, a contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento”. Il marcionismo è una antica eresia (di circa 1800 anni fa) che respingeva l’AT immaginando una visione di Dio diversa rispetto al Nuovo Testamento (un Dio degli Ebrei, cattivo, opposto al Dio di Gesù Cristo, Padre buono). Marcione parte dal pensiero di san Paolo, che negava alla Legge di Mosè il potere di salvare chi la mette in pratica (lettere ai Romani e ai Galati), ma va ben oltre affermando che la Nuova Alleanza è assolutamente discontinua rispetto al Giudaismo (qui l’antigiudaismo è evidente), è un’altra religione. Di conseguenza fu costretto a modificare anche il NT, eliminando tutta la quantità di riferimenti all’Antico che esso custodisce, costruendo così una Bibbia a sua misura.
Di fatto, tutte le nozioni basilari del NT vengono dall’AT per essere rilette in modo originale: il volto paterno e materno di Dio, il comandamento duplice dell’amore, le nozioni di popolo di Dio in cammino, di alleanza, di conversione; poi il messianismo, la risurrezione dei morti… Il Magistero della Chiesa ha proposto una visione integrale e non ideologica della Bibbia; ha sempre affermato che la religione di Israele è madre della fede della Chiesa, e che la Chiesa da sempre ha interpretato le antiche Scritture alla luce della persona e del messaggio di Gesù. Per questo nella liturgia festiva normalmente le prime due letture sono tratte dai due Testamenti, e poi c’è il Vangelo, chiave di lettura e di corretta interpretazione sia dell’Antico Testamento che degli altri testi del Nuovo.
A proposito della Verbum Domini, invitiamo ancora i nostri Lettori a partecipare a una serata introduttiva il prossimo 18 novembre, alle ore 20,30, in Cattedrale a Faenza: parlerà don Cesare Bissoli, fondatore del Settore per l’Apostolato Biblico Nazionale, abile oratore e profondo conoscitore del documento.

don Pier Paolo Nava

 

Dall' annuncio, la fede nei suoi molti messaggi

“Alla ricerca di linguaggi per dire la Parola” 28-ott-2011

Il prossimo 11 novembre (ore 17,00, sala san Carlo), mons. Erio Castellucci terrà una conferenza dal titolo “Il Kerygma, fulcro dell’identità cristiana: un unico messaggio in molti linguaggi”, iniziando così i corsi di aggiornamento per gli insegnanti di Religione nelle scuole, intitolato “Kerygma. L’annuncio pasquale e i suoi linguaggi”. Probabilmente l’argomento non riguarda solo loro, poiché tutta l’avventura cristiana nasce dal kerygma degli Apostoli, secondo le tappe articolate del Credo: Si è fatto uomo… Patì sotto Ponzio Pilato… Morì e fu sepolto… Risuscitò secondo le Scritture.
La parola “kerygma” viene dalla lingua greca e significa “annuncio”, precisamente “annuncio di un evento nuovo” per di più lieto, bello (un Vangelo, appunto), e che si appresta a coinvolgere chi ascolta.
Si scopre così che la fede nasce da un annuncio (già lo diceva s. Paolo, Rm 10,17-18), e se poca fede c’è, probabilmente è perché c’è poco annuncio… La scorsa Giornata missionaria mondiale doveva ricordare a tutti nella Chiesa il proprio incarico di annunciatori. Ogni annuncio, poi, ha un contenuto: secondo il kerygma, è la vicenda di Gesù intorno alla sua Incarnazione e alla sua Pasqua, nel contesto della Bibbia intera (“Secondo le Scritture”): un cristiano che non conosce le Scritture non sa proprio cosa annunciare, magari un sistema di comportamenti da gente per bene, un insieme di opinioni più o meno condivise (e mutevoli secondo i tempi)… Anche per questo si parla di formazione cristiana, in particolare degli adulti, perché siamo noi (e non i bambini) immersi al 100% nella vita di questo mondo.
Ma anche se i contenuti fossero chiari, rimane l’immenso ed eterno problema dei linguaggi: come farsi capire? Ne sanno qualcosa i più anziani che dicono “Non ci si capisce più niente!”. Chiunque lavori nell’educazione e nell’opinione pubblica ne sa qualcosa: giornalisti, opinionisti, genitori, insegnanti, catechisti, preti…
L’aggiornamento ai prof di religione passa in rassegna alcuni dei mezzi utilizzabili: cinema, arte, poesia, musica… La Parola si è incarnata in 2000 anni in tutte queste forme espressive: questi sono i suoi linguaggi, con essa si può dialogare attraverso di essi, per uscire dal silenzio e per far sì che l’annuncio cristiano si realizzi proprio nel momento in cui le persone entrano in vero contatto umano tra loro.
In questa faccenda del kerygma la posta in gioco pare proprio importante. Anzitutto ne dipende la trasmissione della fede alle nuove generazioni: la generazione adulta decide se essere (o no) credibile e feconda. Il dibattito su “quale eredità la generazione adulta lascia ai giovani?” non riguarda solo il debito pubblico (faccenda assai importante), ma anche “quale tipo di società – famiglia – economia – politica… prepariamo per gli adulti di domani?”. Il kerygma si rivela essere un incrocio dove Dio e l’uomo sono ugualmente coinvolti, fede e ragione sono chiamate a un’unica sfida verso il domani. Ho l’impressione che, sia in ambito religioso che laico, alcuni atteggiamenti siano forse utili: da parte dei “grandi”, nutrire stima e fiducia nelle potenzialità dei più “piccoli”; la convinzione che un dialogo tra le generazioni sia non solo urgente, ma possibile; la ferma volontà di lasciare questo mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato.
Al riguardo, la Bibbia ha da dire qualcosa, dal momento che in gran parte riporta narrazioni di esperienze di vita nella fede. Come documento della fede dei padri, la Bibbia ha per obiettivo lo scambio intergenerazionale (Sal 144,4), trasmette “ciò che abbiamo udito… visto… contemplato… toccato” (1Gv 1,1) alla generazione dei figli, “perché anche voi siate in comunione con noi” (1,3). Che resta ancora da dire? “A chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12,48).

don Pier Paolo Nava

 

A fondamento di tutto, la Parola

“Verbum Domini: la Parola nella vita e nella missione della Chiesa” 21-ott-2011

Iniziamo con questo articolo una serie di interventi che l’équipe di Apostolato biblico diocesano proporrà lungo tutto questo anno pastorale, per accogliere e commentare l’esortazione apostolica Verbum Domini di Papa Benedetto XVI. Nell’ormai lontano 2008 (5-26 ottobre) si svolgeva il XII Sinodo dei Vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, e dopo lunga attesa (certamente ponderata) usciva il nostro Documento post-sinodale (firmato il 30 settembre 2010).
Il suo contenuto si pone dichiaratamente in linea con il Magistero precedente sulla Bibbia, in particolare con la Dei Verbum del Vaticano II (datata 18 novembre 1965), e attinge forza dall’appello alla nuova evangelizzazione, già indicata da Giovanni Paolo II come la nuova frontiera della missione della Chiesa nel cosiddetto “primo mondo” occidentale, che nasce da radici cristiane ma sembra aver perso per strada il senso delle proprie origini.
Per rimotivare l’esistenza stessa della Chiesa in Occidente (Da dove veniamo? Cosa ci stiamo a fare?), come in tutte le epoche di cambiamento, occorre ripartire dall’esperienza fondatrice, la predicazione originaria degli Apostoli. Probabilmente si tratta di tornare indietro rispetto ad alcuni secoli di intellettualismo, in cui la Bibbia è stata trattata come serbatoio di conferme ad affermazioni elaborate dalla teologia, come prontuario di principi morali (possibilmente in linea con la morale della gente per bene), o infine come argomento di studio per pochi eletti, un serbatoio di idee per i sermoni (più o meno adeguati) dei preti.
Il Papa invita la Chiesa a tornare al vero senso della Bibbia: essa è Parola di Dio che esce dal silenzio del suo Mistero, si fa avanti con la veste delle parole umane, propone una alleanza a chi vi aderisce, costituisce un popolo che vive in essa e da essa. La verità a lungo dimenticata è che ogni linguaggio funziona solo nel contesto di una relazione, di un NOI. Per questo il Papa insiste su ciò che doveva essere ovvio: la Scrittura diventa quello che è, cioè Parola – relazione – comunicazione solo quando risuona in una Chiesa, che la accoglie e vi obbedisce. E la Chiesa, comunità di fede, accade quando la comunità si raduna, cioè nella liturgia (= azione del popolo). Non per caso, quando si dimentica che la Bibbia è Parola, anche la liturgia diventa affare del prete (= assistere alla Messa, prendere la Messa…), si sviluppa una spiritualità individualista (il prete fa le sue cose, io le mie), devozionalista (durante la Messa prego per conto mio), moralista (l’importante è essere brave persone); l’omelia diventa lezione o chiacchiera...
Se ascoltato, l’invito del Papa a tornare alle origini ci aiuterà non solo a leggere la Bibbia rispettandola per quello che essa è, ma anche a vivere davvero la liturgia; a uscire dall’individualismo dell’angolo scuro della chiesa, dietro ai pilastri e vicino alla porta; ad essere popolo di Dio, costruito da una tela di relazioni tra Cielo e terra, in missione nel mondo e tra le sue tante voci. Per questo, alla sua radice, il Cristianesimo non è integralista, non nega la diversità di chi non vi si riconosce, anzi vive di relazioni tra le diverse Confessioni cristiane, tesse un dialogo con le altre religioni, si confronta e collabora con tutti gli uomini di buona volontà, partecipa alla vita concreta di tutti e al dibattito culturale dei vari tempi, in una immensa liturgia in cui la Parola risuona, si incarna e lascia le impronte dello Spirito di Dio, che soffia dove vuole.
Prima di avviare la nostra serie di approfondimenti, godremo della testimonianza di don Cesare Bissoli, profondo conoscitore della Verbum Domini, che il prossimo 18 novembre, presso la Cattedrale di Faenza, ci introdurrà alle ricchezze di questo testo affidato a tutti. Arrivederci!

don Pier Paolo Nava